Storia della controversia su razza e intelligenza

Litografia di un teschio nordamericano di Crania Americana di Samuel George Morton, 1839. Lo specialista di scienze naturali riteneva che l'intelligenza fosse correlata con le dimensioni del cervello e che variasse tra i gruppi razziali[1].

La storia della controversia su razza e intelligenza concerne lo sviluppo storico di un dibattito riguardante le possibili spiegazioni inerenti alle "differenze di gruppo" incontrate nello studio della razza e dell'intelligenza.

Dall'inizio della messa a punto dei test psico-sociali sul quoziente d'intelligenza nel periodo della prima guerra mondiale sono state riscontrate (e fatte debitamente notare) differenze - anche rilevanti - tra i punteggi medi di diversi gruppi di popolazione; ma non vi è stato fin dal principio alcun accordo sul fatto che ciò fosse dovuto essenzialmente a fattori ambientali e culturali o, viceversa, a causa di alcuni predeterminati fattori genetici.

Non vi è d'altra parte neppure alcun accordo sulla questione se la dicotomia radicale tra fattori ambientali e/o genetici sia nella realtà dei risultati ottenuti l'approccio più efficace al dibattito.

Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo si presunse che le differenze d'intelligenza riscontrate nei diversi gruppi presi in esame fossero dovute in maniera preponderante alla "razza" di appartenenza e, a parte i test del QI, la susseguente ricerca scientifica si basò su misurazioni come la dimensione del cervello umano o i tempi di reazione.

Verso la metà degli anni 1930 la maggior parte degli studiosi di psicologia aveva oramai adottato l'opinione che i fattori culturali e ambientali fossero quelli predominanti.

Alla metà degli anni 1960 il premio Nobel per la fisica William Bradford Shockley suscitò ampie polemiche sostenendo di fatto che potrebbero esserci motivi genetici alla base della constatazione che gli afroamericani tendessero per lo più ad ottenere punteggi più bassi nei test intellettivi rispetto ai bianchi americani. Nel 1969 l'esperto di psicologia dell'educazione Arthur Jensen pubblicò un lungo articolo (How Much Can We Boost IQ and Scholastic Achievement?) contenente il suggerimento che l'"educazione compensatoria" fosse fino ad allora irrimediabilmente fallita a causa delle differenze genetiche (quindi innate, quindi soggette a ereditarietà) di gruppo.

Un dibattito del tutto simile tra accademici seguì la pubblicazione nel 1994 di The Bell Curve, opera di Richard Herrnstein e Charles Murray; il loro libro rinnovò ancora una volta il dibattito sulla questione, oltre ad un certo numero di altre notizie interdisciplinari sullo stesso tema. Una delle risposte contemporanee è stata rappresentata dalla relazione dell'American Psychological Association la quale dichiara con chiarezza di non essere stata capace di rinvenire alcuna spiegazione conclusiva per i dati sulle differenze osservate tra i punteggi medi del QI nei diversi gruppi etnici.

Recentemente sono state scoperte migliaia di varianti genetiche che hanno un'associazione significativa con l'intelligenza su tutto il genoma. Queste varianti non sono distribuite equamente tra le razze.[2] Tuttavia, non è chiaro se queste differenze siano il risultato della selezione naturale.[3]

  1. ^ Fish, 2002, pag. 159, Cap. 6, "Science and the idea of race", di Audrey Smedley
  2. ^ https://www.mdpi.com/2624-8611/1/1/5
  3. ^ https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33529393/

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